La comunicazione del licenziamento è valida anche se il lavoratore non viene informato dai conviventi

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Con l’ordinanza n. 15987 del 2025, la Corte di Cassazione italiana ha stabilito che la comunicazione del licenziamento si presume conosciuta dal destinatario nel momento in cui viene recapitata al suo indirizzo di residenza, anche se il lavoratore non ne viene effettivamente informato.

Il caso di specie riguarda un licenziamento irrogato per inidoneità assoluta e permanente al lavoro, comunicato ad un lavoratore mediante lettera raccomandata inviata all’indirizzo di residenza dello stesso. In particolare, la lettera di licenziamento, regolarmente recapitata, veniva ritirata dalla madre del lavoratore, convivente con il medesimo, la quale decideva di non consegnarla al figlio per proteggerlo da eventuali ripercussioni psicologiche che la notizia del licenziamento avrebbe potuto provocargli. Di conseguenza, il dipendente procedeva all’impugnazione del licenziamento oltre il termine di decadenza previsto dalla legge, pari a 60 giorni dal ricevimento della relativa comunicazione, invocando, a giustificazione della tardività dell’impugnazione, la mancata conoscenza del licenziamento. 

Tuttavia, sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello di Bologna (giudizio di secondo grado) dichiaravano inammissibile il ricorso, in considerazione dell’intervenuta decadenza dell’impugnazione, ritenendo a tutti gli effetti valida la comunicazione ricevuta all’indirizzo del lavoratore, sussistendo una presunzione legale di conoscenza data dalla sostanziale equivalenza giuridica tra conoscenza e conoscibilità in relazione alla ricezione di un atto al domicilio del destinatario.

La Corte di Cassazione ha quindi confermato questa interpretazione, ribadendo come, secondo la legge italiana, esiste una presunzione legale di conoscenza degli atti: un atto si considera conosciuto quando arriva all’indirizzo del destinatario. Tale presunzione può essere superata solo in presenza di ostacoli oggettivi e indipendenti dalla volontà del lavoratore, come calamità naturali, gravi disservizi postali o assenze prolungate dovute a cause di forza maggiore, ma non da fattori soggettivi del ricevente.

In conclusione, la sentenza ribadisce che, secondo il diritto italiano, i termini per contestare un licenziamento sono perentori e decorrono dal momento in cui la comunicazione perviene all’indirizzo del lavoratore, anche nei casi in cui emergano elementi soggettivi che impediscano al lavoratore di essere messo a conoscenza del provvedimento disciplinare a proprio carico.

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Vittorio De Luca – Managing Partner

Silvia Zulato – Senior Associate

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