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Kering: Gucci e Bottega Veneta presentano le loro collezioni

La settimana della moda milanese ha visto protagonisti due brand del gruppo Kering che hanno presentato le loro collezioni live: Gucci e BottegaVeneta

La settimana della moda milanese ha visto protagonisti due brand del gruppo Kering che hanno presentato le loro collezioni live: Gucci e Bottega Veneta.
Entrambi i brand promuovono i valori della sostenibilità sociale e ambientale, impegnandosi a generare un cambiamento positivo per le persone e per il nostro pianeta.

 

Gucci lancia Gucci Equilibriumun intero portale dedicato a spiegare e fornire aggiornamenti sulle sue best practice sociali e ambientali. Un piano decennale di sostenibilità per rafforzare la propria Culture of Purpose, dimostrandone i valori attraverso percorsi innovativi verso la sostenibilità sociale e ambientale. Stimolati dalla creatività e dalla collaborazione, Gucci lavora per ridurre il suo impatto ambientale e per contribuire a proteggere la natura, sostenendo nel contempo i diritti delle persone, l’inclusione e il rispetto, in modo tale che tutti nella comunità globale di Gucci siano liberi di esprimere il proprio autentico e diverso sé. 

Più recentemente, Gucci ha condiviso con altre aziende del settore del lusso una serie di obiettivi concreti su tre aree chiave (clima, biodiversità e oceani), firmando con la loro casa madre Kering il Fashion Pact.

 

Bottega Veneta invece, sceglie i tessuti in verde. Il verde infatti richiama la sostenibilità, trasmette sicurezza.

Se tra 2020 e 2021 la moda si è tinta di rosa, nel 2022 le passerelle e i brand saranno monopolizzati dal verde. Al di là della naturale tendenza del fashion system a rinnovare i suoi linguaggi di anno in anno, quel che ha spinto la tonalità a farsi spazio nelle nuove linee di abiti e accessori delle griffe è stato, senza dubbio, il suo significato metaforico. In un mondo in cui la questione ambientale si fa sempre più urgente e la corsa alla sostenibilità sempre più diffusa, il verde incarna a pieno lo spirito del tempo. E, a suo modo, strizza l’occhio all’attivismo e alle cause propagandate dai Friday For Future.

A sdoganarlo per la prima volta in un défilé, fino a trasformarlo in un tassello irrinunciabile del proprio DNA, è stata la maison italiana Bottega Veneta. Che, a dicembre dello scorso anno, nella sfilata di presentazione della collezione primavera / estate 2021 al Sadler Well’s Theatre di Londra, lo ha trasformato in un vero e proprio must, utilizzandolo davvero ovunque. Dalle iconiche pouch, intramontabili pochette da donna, ai borselli da uomo, passando per tailleur, vestiti da sera e abbinamenti più casual. Così, il Bottega Green (noto anche come Zoomer Green, con un implicito riferimento al fatto che, tra i suoi fan più accaniti, ci siano proprio i ragazzi e le ragazze della Generazione Z) è entrato di diritto nei campionari degli atelier, conquistando un posto d’onore accanto all’azzurro Tiffany e all’arancione Hèrmes. 

 

Gucci, gli abiti sono macchine magiche
 

Alessandro Michele torna a Milano con una collezione femminile e maschile e la fa sfilare in una scatola di specchi, simbolo di possibilità amplificate della realtà. Tra cappe con fasce di peluche, completi sartoriali e bluse in pizzo. E lancia la collaborazione Adidas x Gucci.

«La realtà propone un pullulare di incroci caleidoscopici e la moda si rende disponibile a milioni di letture»: nella speculazione attiva di Alessandro Michele entra a far parte il potere dello specchio, e su questa miscela esplosiva di valori di significati nasce la Collezione Exquisite Gucci.

Lo specchio è uno strumento potente non solo perché riflette, ma soprattutto perché lo specchio è un «luogo non luogo» in cui le possibilità della realtà si amplificano a dismisura. Ma a Michele interessa di più come luogo in cui è plausibile l’ambiguo infatti, dopo la sfilata, dice di aver fatto «un inno all’ambiguità delle forme e dei simboli». Quello che non interessa proprio al direttore creativo di Gucci è il ruolo banale dello specchio, quello che lo porta a riflettere le cose così come sono. «Sono sempre stato refrattario al mito della visione esatta, che finisce inevitabilmente con il congelare la potenza immaginifica del mondo». E nello specchio la vita potrebbe morire, come potrebbe annientarsi la moda. Per questo, nella sua attività di estrattore di significati alternativi, Michele utilizza lo specchio come strumento che sa, quando vuole, «costruire aberrazioni, incanti, fantasmi. Ho pensato agli specchi dei trattati del Seicento, quelli incastrati all’interno di preziose wunderkammer che agiscono come macchine di dilatazione e trasfigurazione della realtà».

Così, oltre a costruire la location della sfilata come se fosse una scatola di specchi o un club notturno, regala agli abiti il potere straniante degli specchi barocchi. «Uso la metafora dello specchio magico per accostarmi al potere fantasmagorico della moda», continua Michele.


La Moda è uno specchio deforme
 

«Non parlo mai dei vestiti. Mi piace parlare del processo. Il mio specchio, la moda che io tratto, è qualcosa di assolutamente multiforme e deforme. Come lo specchio, i vestiti sono in grado di produrre moltiplicazioni. La sala racconta qual è l’attitudine dei vestiti» racconta Michele dopo lo show. Ma quello che succede nella collezione è il continuo riflesso di una metamorfosi perché manipolando codici e tecniche, tessuti e linee, volumi e contaminazioni, Michele riesce a dimostrare che gli abiti sono corruttibili, diventano portatori di messaggi scritti indifferentemente da chi gli abiti li fa e da chi gli abiti li usa.

Gucci è assente da Milano da due anni e questa volta torna con una collezione Donna e Uomo in cui la quantità di abiti femminili e maschili non orienta la definizione: più abiti maschili che femminili? «Alle donne piace molto indossare abiti da uomo. Ma ricordo una camicia che mi ha reso famoso, quella maschile con il fiocco» dice Michele ricordando la sua prima sfilata di moda Uomo da direttore creativo del marchio. E qui quello spiazzamento rimane. In questa collezione che sfila in una scatola a specchi, con le luci stroboscopiche come se fosse l’interno di una discoteca («il club, il grande luogo della metamorfosi, il posto dove ci si veste come animali nella stagione dell’amore»), le cappe sono perfette, le giacche hanno un taglio impeccabile, i pantaloni sono diritti, le gonne sono in tartan, il patchwork forma suit interi, le bluse sono in pizzo, le cinture sono altissime con la fibbia metallica, le orlature dei revers delle giacche sono fatte con le borchie, altre cappe di tessuto bouclé terminano con un fascione in peluche.

Sono per la donna o per l’uomo? Importa veramente? Importa però che le tre strisce del nastro Gucci abbiano subito una metamorfosi e sono diventate le tre strisce bianche del marchio Adidas, evidente segno di una collaborazione AdidasxGucci. I vestiti, dice Michele «si offrono come operatori di molteplicità. Attraverso questi interventi celebro i vestiti come veri laboratori ottici: macchine magiche capaci di proiettare nel mondo fiabe di metamorfosi e reincanto». Ed è senz’altro vero, visto che gli abiti resistono a ogni metamorfosi dell’esistente, anche a quelle traumatiche della storia. Come gli specchi sopravvivono al loro disincanto.

Un articolo di Michele Ciavarella

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La nuova era di Bottega Veneta

 

Per il primo show di Matthieu Blazy, la maison di Kering sceglie la sua futura sede milanese di piazza San Fedele. Va in scena una collezione rispettosa del Dna del marchio, ispirata dal futurismo e dall’idea di movimento. Tra coat scultorei, dress sottoveste impreziositi da spalline architettoniche e un omaggio all’intrecciato sugli accessori, il nuovo corso di Bottega veneta parte da Milano. Da quel palazzo in piazza San Fedele, con i vetri coperti da pannelli verde smeraldo, che ospiterà la nuova sede del marchio di Kering nel 2023 e che ha accolto il primo show di Matthieu Blazy. L’incipit è uno statement. Una canotta bianca, un paio di pantaloni di pelle effetto denim trompe l’oeil. Una borsa intrecciata sulla spalla che conquista lo sguardo. Come a fare pulizia per segnare una nuova era, che rende omaggio all’italianità del marchio e al suo Dna legato al mondo della pelletteria.

«Con il team creativo siamo riusciti a ottenere i nostri obiettivi, tornare in Italia rendendole omaggio e trasportare il movimento sugli abiti», ha spiegato il designer. «Tutto è partito da una scultura di Umberto Boccioni e dal Futurismo che ci hanno permesso di sviluppare il concetto di movimento, fondamentale per un marchio nato con le borse. La sartoria invece è un elemento chiave in Italia, dove il tailoring è streetwear perché le persone lo portano in strada».

Coat doppiopetto per uomo e donna sono segnati da spalle a uovo, dress minimali sono impreziositi da imbottiture sulle spalline, gonne a ruota svelano infinite frange di pelle. Cuissardes chilometrici di intrecciato sono indossati con una semplice camicia. Maxi eco pellicce avvolgono il corpo in una nuvola cocoon. Sottovesti di paillettes si rivestono di bagliori d’argento. Le bag si trasformano in ceste raw o diventano cuscini da tenere stretti al corpo. Con un gesto di seduzione e confidenza. Come quella dimostrata da Blazy nel primo atto da direttore creativo del marchio.

Giudizio. Abbracciare le tradizioni e osservarle da un altro punto di vista. Questo è l’imput del lavoro di Matthieu Blazy, che entra con passo rispettoso nel corso creativo della maison, valorizzandone alcuni caposaldi, come l’intrecciato, e intessendo un omaggio al suo Dna italiano.

Un articolo di Chiara Bottoni

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