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I modelli organizzativi per una transizione agile. Intervista a Sergio Zanfrini

Un articolo di CAHRA

Quando si parla di transizione agile, occorre considerare l’importanza di adottare modelli organizzativi appropriati ed idonei. spesso si sottovaluta l’impatto sull’organizzazione, che può portare a un fallimento della transizione.  Se i concetti dell’agile si posizionano in continuità con quanto già portato avanti dal lean manufacturing (filosofia gestionale nata in Giappone e volta a minimizzare gli sprechi) negli anni ‘80, è proprio ai giorni nostri che il movimento è più attivo e influente che mai.


Il punto di partenza consiste nel mettersi d’accordo su che cosa viene considerato propriamente “agilità”: al di là dei modelli organizzativi, la business agility è definita come la capacità di un’azienda di reagire al cambiamento e quindi di rispondere in maniera efficace ad esso, condizione più che mai evidente nel periodo pandemico. Infatti, come sottolineato recentemente da Luca Solari, professore ordinario di Organizzazione Aziendale presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche (Università degli Studi di Milano), il cambiamento portato dall’esplosione del Covid-19 ha fatto sì che ognuno di noi dovesse in un certo senso sperimentare proprio su sé stesso la trasformazione, adottando quindi nuovi modelli e introducendo nuove modalità, non sempre in presenza.

A questo proposito, abbiamo scambiato qualche battuta con Sergio Zanfrini, Manager di Transizione che ha fatto dello studio approfondito dell’Agile la sua cifra distintiva.

Sergio, in base alla sua esperienza, rivolgendosi alle organizzazioni che vorrebbero sperimentare nuovi processi – quali ritiene che siano i vantaggi dell’introduzione della metodologia agile in azienda e quali eventuali criticità devono essere affrontate?


L’agile nasce dalla necessità di rispondere ai mutamenti imprevedibili e sempre più rapidi con cui le aziende si devono confrontare. La rapidità dell’evoluzione tecnologica e lo spostamento del potere verso il cliente, assieme ad altri punti hanno sostanzialmente modificato lo scenario competitivo. L’agile aiuta le organizzazioni a migliorare la velocità di risposta. 

La criticità principale con cui ci si scontra è una ritrosia generalizzata rispetto al cambiamento. Le motivazioni sono molteplici e alla fine fanno tutte riferimento alla paura di cambiare e di perdere il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione.

Un punto che ritengo utile segnalare è che, nell’ultimo anno, sono stati fatti molteplici studi a livello mondiale e convergono sul fatto che le aziende agili hanno saputo rispondere meglio e più velocemente alla crisi.

Parlando di casi concreti, è stato osservato quanto spesso manchino, in realtà, prima di tutto le competenze interne alle organizzazioni per attuare reali processi di business agility. Qual è il suo pensiero sulla penetrazione agile nei contesti aziendali e sulla sua effettiva implementazione?


Se parliamo a livello mondiale non esiste settore o tipologia di organizzazione in cui non siano emerse organizzazioni agili con risultati impressionanti. In questo momento il 40% del PIL statunitense è prodotto da organizzazioni agili. 

Parlando del contesto italiano ho potuto ascoltare i racconti di alcune aziende che si sono mosse in tal senso ma che restano minoritarie. I racconti di questi testimoni mi hanno trasmesso la passione di chi vi aveva partecipato e la consapevolezza di essere ora in grado di rispondere meglio e più velocemente alle esigenze del cliente.

Il percorso per acquisire le competenze si costruisce in base alle esigenze di ogni realtà solo se c’è la volontà di cercare strade nuove.

Se ne parla tanto, ma poi nel concreto – se guardiamo le statistiche – siamo lontani da quanto accade oltreoceano: quali sono, secondo lei, gli ostacoli che ne impediscono la diffusione? È prima di tutto una questione di mindset?


Il primo ostacolo siamo noi e la nostra volontà di provare il cambiamento. Riassumendo tutto in una battuta: “il cambiamento è quella cosa in cui gli altri devono cambiare”.

L’Italia è sicuramente rimasta indietro. Nel nostro continente ho visto la trasformazione applicata da realtà Portoghesi, Danesi, Svedesi, Tedesche, Norvegesi, Inglesi. Credo che il mindset ed una cultura fortemente orientata all’organizzazione gerarchica siano un problema. C’è anche una gran confusione perché l’agile viene percepito come un’organizzazione senza manager e senza controllo e questo sicuramente spaventa, oltre a non essere assolutamente vero. 

Le organizzazioni agili sono fortemente orientate al risultato ed hanno una struttura molto chiara. Sono solo organizzate in modo diverso.

In fondo, il mestiere del manager di transizione CAHRA consiste proprio nell’accompagnare le imprese – e le persone che ne fanno parte – in percorsi o direzioni ‘sconosciute’. Cosa si sentirebbe di consigliare a tutti quegli imprenditori che hanno paura che il cambiamento presso la propria azienda possa produrre una ‘distruzione’ dell’attività? 


Contrariamente a quanto si pensa, il cambiamento è progressivo e non distruttivo. Va costruito dall’interno prendendo le cose che meglio si adattano alla propria realtà con un approccio interattivo: sperimento, vedo quello che funziona, capisco cosa va adattato ed applico il passo successivo.

È necessario essere aperti e capire meglio di cosa si sta parlando. Aiuta adottare un approccio sperimentale, in cui si possano provare nella propria realtà dei progetti pilota aiutati da qualcuno che di agile se ne intende. Sarebbe un modo per superare le paure ed aiutare in modo concreto le nostre organizzazioni a capire meglio il viaggio da intraprendere. 

Posso tranquillizzare tutti sottolineando che la business agilty non ha niente di distruttivo.

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Chi è Sergio Zanfrini

HIGHLIGHTS

  • Lean e Design Thinking per supportare il cambiamento nelle aziende
  • Approfondita conoscenza del mercato B2B con esperienza diretta nell’approccio multicanale
  • Nel percorso di carriera ha sviluppato competenze in Operation, Purchasing e Product Management

 

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