Ostacoli e paradossi della WEB TAX

Con l'espressione web tax si indica la tassazione delle multinazionali che operano in rete, con l'obiettivo di garantire equità fiscale e concorrenza leale nel mercato.

La questione della tassazione digitale è stata oggetto di un forte dibattito negli ultimi anni. Numerosi sono stati gli stop and go che si sono susseguiti nel tentativo di mettere d’accordo tutti gli interessati. La discussione a cui si assiste si è articolata su tre livelli – internazionale (OCSE), europeo e locale - e vede sovrapporsi gli interessi di un pubblico trasversale, che spazia dal mondo della politica a quello delle imprese.

Guardando all'Europa, in particolare: i tentativi di risolvere la questione si sono per ora risolti in un nulla di fatto, non essendo stato trovato un compromesso con il fronte contrario alla web tax, che vede schierati in prima linea Irlanda, Svezia, Estonia e Repubblica Ceca.

Nello specifico, il 21 marzo 2018 la Commissione Ue ha presentato due proposte: una risolutiva, ma tecnicamente complessa da attuare e una temporanea e più immediata, che avrebbe avuto un’azione limitata nel creare l’effettivo valore fiscale. La prima avrebbe tassato i ricavi derivanti dalle operazioni realizzate online dagli utenti Ue (mediante un’aliquota fissa compresa tra l’1% e il 5%), la seconda avrebbe invece colpito gli utili attribuibili alla stabile organizzazione digitale in ciascun Paese (secondo le rispettive aliquote dell’imposta sulle società - l'IRES italiana).

Proprio quest'ultimo rappresenta il primo concetto chiave. Infatti, secondo la normativa vigente un'azienda deve essere tassata dove si trova la sua stabile organizzazione. Le aziende tecnologiche che operano in tutto il mondo sono quindi tassate dove è stabilita fisicamente la loro stabile organizzazione.

Sullo stesso punto intendevano intervenire le proposte introdotte in Italia nelle ultime due Leggi di Bilancio (2018 e 2019) dal Governo Gentiloni prima, e dal Governo gialloverde poi. La prima versione prevedeva un’imposta del 3% sulle prestazioni di servizi digitali, aliquota che viene mantenuta dalla disposizione approvata con l’ultima Manovra, che estende il campo di applicazione alla pubblicità e alla trasmissione di dati. Nello specifico, la web tax 2019 grava sulle imprese che gestiscono piattaforme online con un fatturato pari ad almeno 750 milioni di euro e ricavi di 5,5 milioni derivanti dai servizi digitali e si applica ai soggetti, residenti e non, che effettuano operazioni con clienti che risiedono in Italia.

La Legge di Bilancio prevede che la web tax sia applicata dal 1° gennaio 2020 ma, come era stato per la prima versione, mancano ancora i decreti attuativi del MEF volti definire nello specifico i servizi digitali da considerare tassabili, che avrebbero dovuto essere emanati entro il 30 aprile.

Il secondo punto cardine per l’implementazione della tassa, dopo la stabile organizzazione, è l’individuazione dei servizi digitali che cadranno nell'ambito di applicazione della tassa e su cui sembra che il Ministero non abbia ancora trovato una quadra.

Il meccanismo sembra essersi di nuovo inceppato, complice forse la difficoltà di bilanciare, da una parte, l'esigenza di tassare le multinazionali straniere che vendono i loro servizi anche in Italia e, dall'altra, tutelare le imprese italiane che rischiano di cadere nella rete ed essere sottoposte a doppia tassazione.  

Alla luce di tutto questo emerge una doppia difficoltà: da un lato trovare un accordo tra le parti interessate, dall'altro la lentezza del processo decisionale che, con i suoi tempi obbligati e meccanismi farraginosi, rischia di accentuare il divario tra il Legislatore e l’evoluzione digitale.

Le Istituzioni dovranno lavorare, nei prossimi anni, per affinare una nuova modalità di interazione con questa realtà eterogenea e in movimento, che risponda più prontamente alle reali esigenze delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori, con il duplice obiettivo di regolare il mercato senza affossarlo, ma creando nuovi spazi di condivisione e opportunità.

 


 

Un articolo di Vera Studio

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